PROPOSTA DI LEGGE

Proposta di legge per coordinare i disposti ex Art.844 C.C. e Legge Quadro sull’inquinamento acustico n.447 del 1995
Utilità sociale della proposta

Ai fini della proposta di legge presentata in questa sede, è necessario l’esame della normativa che regola l’inquinamento acustico nella legislazione italiana rapportata ai concetti di “normale tollerabilità e ammissibilità ambientale” delle immissioni di rumore derivanti dal disposto dell’art. 844 c.c. e dalla Legge Quadro 447/95 .
La necessità di coordinare le norme vigenti nasce dalla circostanza che il Codice Civile all’art. 844 c.c. assume come criterio per la tutela dei diritti del singolo cittadino quello della “tollerabilità” delle emissioni mentre (e apparentemente in contrasto con lo stesso) la Legge Quadro utilizza quello della “ammissibilità”, indicando, attraverso i Regolamenti, le diverse soglie in riferimento alle molteplici attività umane.
La magistratura, chiamata a decidere casi singoli e concreti, distingue la natura dei testi legislativi in “pubblicistica” (Legge Quadro) e “privatistica” (Codice Civile) e ritiene non coordinati né coordinabili i concetti di “ammissibilità” e “tollerabilità”, sicché spesso ha ritenuto intollerabile ex art. 844 c.c. ciò che era ammissibile ai sensi della Legge Quadro e relativi Regolamenti.
Per comprendere le ragioni che hanno determinato la necessità di presentare una proposta di legge in materia di inquinamento acustico, è necessario illustrare brevemente il quadro di applicazione delle normative esistenti formatosi in questi anni.

L’art. 844 c.c. considera genericamente tutte le possibili immissioni e fra queste quelle del rumore, e testualmente recita.: “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso ”.
L’articolo 844 non integra un precetto, perché non predica un comportamento doveroso alla cui violazione consegue una sanzione.
In altri termini nelle altre fattispecie considerate dall’ordinamento civile, vengono individuati gli elementi strutturali e le vicende che il legislatore ha ritenuto significative per ciascuna e, in caso di violazione, l’ordinamento prevede una gamma di sanzioni di varia natura (dalla nullità all’annullamento a seconda delle cause della violazione; dalla risoluzione per inadempimento alla rescissione per lesione, dal risarcimento del danno all’adempimento coattivo). Vi è, quindi, una costante relazione norma-violazione-sanzione.
Non è così nel caso dell’art. 844 c.c., fattispecie in cui manca la previsione del comportamento vietato e di una sanzione.
La norma in esame fissa infatti solo tre direttive obbligatorie (non graduate in ordine di importanza) e una facoltativa:
1) la normale tollerabilità;

2) le esigenze della produzione;

3) le ragioni della proprietà;

e quella facoltativa: il pre-uso.

Tali direttive sono destinate direttamente al giudice ai fini applicativi della norma e non, come altre fattispecie codicistiche, al privato al fine di individuarne il comportamento da tenere.
La giurisprudenza è peraltro concorde nel ritenere che l’art. 844 c.c. non costituisca “norma in bianco” il cui contenuto sia possibile dedurre dal rinvio ad altre fonti normative, come accade, per esempio, al contrario, negli artt. 873 e 890 c.c. (anch’essi dedicati nell’impianto del Codice ai rapporti di vicinato tra le proprietà fondiarie), nei quali il legislatore ha rinviato ad altre fonti normative quali gli strumenti urbanistici ed i regolamenti d’igiene.
In definitiva la funzione dell’art. 844 c.c. è sinora stata quella di investire il Giudice della competenza ad individuare il precetto sostanziale nel caso concreto sulla base delle direttive dettate dalla norma medesima.
Il Giudice nel caso di specie non dichiara e accerta il comportamento violato, ma “crea” il precetto che, a differenza delle altre fattispecie codicistiche, non è predetto ma si forma a “posteriori” in riferimento al comportamento accertato caso per caso.
In questa prospettiva nasce la difficoltà dell’applicazione della norma.
Il Giudice chiamato a decidere il caso concreto non ritrova nell’ordinamento la descrizione del comportamento violato a cui far riferimento e ricerca in altre norme quali l’art. 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito e quindi extracontrattuale) l’elemento concreto (l’esistenza del danno) che gli permetta di individuare “il fatto” causa di danno (in altri termini accertata l’esistenza del danno non resta che individuare il comportamento che lo ha generato).
Per procedere a tale ricostruzione il Giudice (oltre a ricorrere agli usuali mezzi istruttori) si affida ad una consulenza tecnica che, nel caso concreto, confermi l’esistenza del danno e il nesso di causalità fra il comportamento e il danno lamentato.
D’altra lato, parte della giurisprudenza ha sostenuto che non vi è necessità, al fine di provare il concetto di “intollerabilità”, di esperire una consulenza tecnica, in quanto essa sarebbe necessaria unicamente allo scopo di verificare dati di fatto già acquisiti attraverso altri mezzi istruttori (prove testimoniali).
Alla luce di quanto sopra si può affermare che l’individuazione del “precetto” di cui all’art. 844 c.c. sia di esclusiva competenza del Giudice .
In materia di inquinamento acustico all’art. 844 c.c. si affianca la Legge Quadro del 1995 n. 447.

La Legge Quadro all’art. 1 indica l’obbiettivo perseguito: “la presente legge stabilisce i principi fondamentali in materia di tutela dell’ambiente esterno e dell’ambiente abitativo dell’inquinamento acustico ai sensi e per gli effetti dell’art. 117 della Costituzione”. All’art. 2 della legge 447/95 viene poi definito il concetto di inquinamento acustico: “introduzione di rumore nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni culturali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo e dell’ambiente esterno o tale da interferire con le legittime funzioni degli ambienti stessi (…)”.
L’art. 2, comma 1, lettera b) definisce “ambiente abitativo” “ogni ambiente interno ad un edificio destinato alla permanenza di persone o di comunità ed utilizzato per le diverse attività umane; fatta eccezione per gli ambienti destinati ad attività produttive….”.
La Legge Quadro negli articoli successivi stabilisce direttive e competenze in tema di classificazione del territorio (art. 4 e 6); piani di risanamento acustico (art. 7); dispositivi in tema di impatto acustico (art.8). Nel DPCM del 14 novembre 1997 sono stati successivamente determinati i valori limite delle sorgenti sonore; la classificazione del territorio comunale viene distinta in sette classi (classe I-II-III- IV- V- VI- VII). Della classe I intitolata “aree particolarmente protette” viene data la seguente descrizione: “rientrano in questa classe le aree nelle quali la quiete rappresenta un elemento di base per la loro utilizzazione: aree ospedaliere, scolastiche, aree destinate al riposo e allo svago; aree residenziali rurali, aree di particolare interesse urbanistico, parchi pubblici etc.”.
A titolo di esempio, alla Classe I la tabella B del DPCM citato indica come valori limite di emissione (intendendosi il valore massimo di rumore che può essere immesso da una o più sorgenti sonore misurato in prossimità dei ricettori) un valore di 45 leq Db diurno (equiparabile a un rumore di fondo di un soggiorno) e 35 leq Db notturni (equiparabile al rumore di fondo di una biblioteca).

Sembrerebbe chiaro che la legge citata si prefigga, come enunciato negli artt. 1 e 2 (sopra testualmente riportati), lo scopo di regolamentare l’inquinamento acustico a favore anche del bene costituzionalmente garantito della salute. Tuttavia non è così per la giurisprudenza che, infatti, nell’applicazione della legge distingue gli ambiti applicativi delle due normative: “privatistico” il disposto del Codice Civile e “pubblicistico” l’ambito di applicazione della Legge Quadro.
La giurisprudenza è unanime nell’affermare che la Legge Quadro concerna esclusivamente il profilo pubblicistico della tutela dell’ambiente, cioè quella tutela che la Pubblica Amministrazione deve apprestare in via generale a presidio della incolumità psicofisica della collettività, in un ambito quindi in cui gli interessi particolari dei cittadini trovano protezione solo indirettamente e nella misura in cui coincidono, in tutto o in parte, con l’interesse anzidetto.
Proprio da tale considerazione deriverebbero le diverse nozioni giuridiche di “tollerabilità” ed “ammissibilità”.
“Tollerabilità” indica il livello massimo di immissione rumorosa considerata in relazione allo specifico fruitore del bene che subisce l’immissione, e l’immissione non deve attentare alla sua integrità psicofisica.
Il soggetto passivo costituisce il parametro essenziale per la qualificazione giuridica della “tollerabilità”, che non deve mai essere intesa in senso astratto, ma deve essere rapportata ai tratti caratterizzanti della fattispecie concreta.
Per contro ”ammissibilità” indicherebbe quel livello di immissione rumorosa, considerata in relazione ad un ambiente esterno o abitativo, che sia compresa entro i limiti minimi e quelli massimi normativamente fissati .
Proprio dalla distinzione sopra riportata sorge il problema del rapporto fra la Legge 1995 n. 447, le norme delegate complessivamente intese e l’art. 844 c.c.
La Suprema Corte di Cassazione (Cass, 10 gennaio 1996, n. 161; Cass., 1 luglio 1994, n. 6242; Cass.Sez. Un. 19 luglio 1985, n. 4263 ) ripetutamente ha affermato il principio secondo cui nella prospettiva applicativa dell’art. 844 c.c. sono irrilevanti le normative di tipo amministrativistico o pubblicistico (norme che regolano i rapporti tra il soggetto proprietario del fondo da cui originano le immissioni e l’ente pubblico).
Sulla base di tale presupposto la giurisprudenza conclude per l’autonomia dei disposti normativi, pur rammentando il principio generale del diritto amministrativo per cui l’interesse individuale è tutelato solo se coincide con quello pubblico.
Fra le due discipline esisterebbe quindi un rapporto non biunivoco.
Da una parte, se l’immissione riscontrata supera i livelli pubblicistici ad opera di un preciso soggetto essa è intollerabile.
Viceversa, anche se i livelli fissati dalla legge quadro 447/95 vengono rispettati, ciò nonostante l’immissione può essere dichiarata intollerabile.
Quest’ultima è la conclusione a cui giunge la giurisprudenza.
Ne deriva un’applicazione dell’art. 844 c.c. che non tiene in considerazione le disposizioni della Legge 447/95 e dei successivi Decreti Attuativi, che impongono norme severe e eque per tutelare i cittadini dal rumore anche tenuto conto delle zone territoriali di inserimento delle sorgenti sonore.
Nel caso concreto imprese che al fine di rispettare i limiti territoriali e di emissione e di immissione sonora imposti dalla Legge Quadro 447/95 hanno affrontato – anche in relazione alle loro dimensioni caratterizzanti il nostro tessuto produttivo – impegni economici e investimenti gravosi per l’acquisizione di tecnologia che permetta loro la riduzione del rumore generato dalla loro attività, possono ritrovarsi a rispondere giudizialmente se le loro emissioni, pur “ammissibili” e quindi lecite, siano da ritenersi anche “tollerabili” a seguito dell’iniziativa anche di un singolo cittadino che, non soddisfatto, si sia rivolto alla magistratura lamentando un disturbo da inquinamento acustico ed invocando l’applicazione dell’art. 844 c.c..
Il Giudice, chiamato a ricostruire a posteriori il precetto assente nella norma codicistica, utilizza il c.d. “criterio differenziale” (ormai consolidato in giurisprudenza) e sulla base di tale criterio, ritiene intollerabile qualsiasi emissione sonora che superi di tre decibel il valore del rumore di fondo (senza considerare i limiti inferiori di applicabilità del criterio differenziale al di sotto dei quali “ogni effetto del rumore è da ritenersi trascurabile”). Inoltre senza dover considerare i limiti indicati nella zonizzazione acustica comunale (disposta in esecuzione dell’art. 7 della Legge Quadro), può giungere alla conclusione secondo cui ciò che per legge è “ammissibile” per legge è “intollerabile”.
Il principio giurisprudenziale dell’identificazione del concetto di “normale tollerabilità” nella soglia dei tre decibel oltre al rumore di fondo finisce quindi per prevalere sulle leggi dello Stato che negli ultimi anni hanno puntualmente definito il concetto di inquinamento acustico a tutela della salute dei cittadini.
Per una maggiore certezza del diritto e uniformità di applicazione delle norme, diviene necessario uniformare i metodi di rilevazione dei dati e la loro valutazione scientifica.
Ad oggi il DPCM 14 novembre 1997 indica i limiti di emissione e immissione in Leq (Livello Equivalente), cioè livello medio, mentre il criterio di rilevazione dei dati utilizzato in giurisprudenza si basa su misurazioni di livello sonoro istantaneo (come noto agli “addetti ai lavori” e diffusamente trattato nella letteratura in materia).
È quindi necessario riesaminare la disposizione del Codice Civile, introducendo una modifica che raccordi il disposto dell’art. 844 c.c. con la normativa vigente in materia di inquinamento acustico, ai fini di definire limiti certi che tengano in considerazione la salute del singolo cittadino e la destinazione d’uso delle aree (previa individuazione di uniformi metodologie di rilievo e interpretazione dei dati).
La Proposta di Legge che oggi viene presentata (il cui testo è allegato alla presente relazione) non può che ritenersi l’inizio di un lungo percorso di studio interdisciplinare fra giuristi, scienziati, tecnici e medici, in quanto l’inquinamento acustico, così come tutto ciò che viene prodotto dalla moderna civiltà alla quale non vogliamo e non possiamo rinunciare, è oggetto di continuo sviluppo, progresso e mutamento.
L’individuazione dei limiti di inquinamento tollerabili e ammissibili si presta ad essere aggiornata ogni qual volta vengano introdotti nuovi materiali fonoassorbenti, i cicli produttivi vengano modernizzati e migliorati nelle emissioni.
Il legislatore ha il compito di aggiornare le norme che regolano i rapporti tra i consociati e fissare l’applicazione di limiti non impraticabili, ma realistici, tali da riqualificare il concetto di tollerabilità non con riferimento all’ideale vita in campagna, ma alla vita condotta nelle nostre città.
Mi riferisco, per esempio, alla nota decisione emessa dalla Corte di Cassazione (Cass. , 14 marzo 1977 n.1021) che ha individuato la “normale tollerabilità” nella soglia di non più di 3 decibel superiori ai 30 decibel di rumore di fondo nelle ore notturne: è significativo che tale rumore di fondo sia appena superiore al fruscio delle foglie degli alberi.
La proposta di modifica dell’art. 844 c.c. fa salve le disposizioni di legge che disciplinano specifiche sorgenti, obbliga il giudice a tener conto nell’individuazione del precetto della priorità di un determinato uso (direttiva questa fino ad oggi facoltativa nella fase applicativa) e introduce un terzo comma in cui vengono uniformati i concetti di ammissibilità e tollerabilità sicché nella stesura dei regolamenti attuativi debbano essere uniformati i criteri di individuazione e di rilevamento delle immissioni.

(Modifica dell’articolo 844 del codice civile).
1. L’art. 844 del codice civile è sostituito dal seguente:
“ Art. 844. – (Immissioni). – Il proprietario di un fondo può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi, fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento che disciplinano specifiche sorgenti.
Nell’applicare le disposizioni di cui al primo comma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Deve, altresì, tener conto della priorità di un determinato uso.
I limiti di normale tollerabilità dei rumori sono quelli indicati nelle disposizioni di classificazione in zona dei territori comunali, classificazioni emanate in conformità alla legislazione vigente in materia”.

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