Scritto da Dr. Alfredo Grandi e Francesca Milazzo
Nel 1922 venne costruito un anello d’Alta Velocità che nel 1955 fu riedificato e divenne il Catino d’Alta Velocità.
Di questi tempi la Sopraelevata di Monza appare, sempre più spesso, nelle pagine dei giornali di tutto il mondo suscitando le più variegate reazioni nei lettori, negli appassionati e negli addetti ai lavori.
Qualcuno ha persino pensato di indire un referendum per sentire il polso del mercato sull’ “affaire” e qualcun altro ha aperto dei siti internet ove si dibatte sull’argomento.
Personalmente, come parte in causa, vorrei semplicemente limitarmi a dare delle informazioni a chi dovrà decidere sulla sorte di questo pezzo di Storia dell’Automobilismo Mondiale.
Come appassionato e studioso della Storia dell’Autodromo di Monza ho cercato di essere il più imparziale possibile anche se non posso nascondere che l’eventuale abbattimento, oltre a non dare alcun beneficio al Parco di Monza che tutti noi amiamo, priverebbe la Città di un unico manufatto di archeologia sportiva che pochissime altre città al mondo possono vantare.
Questo, pur tuttavia non vuol dire restare cristallizzati dinanzi alla Storia, anzi, vuol dire che qualcosa si può ancora fare con la volontà di tutti.
E’ ormai di moda che singole aziende si prendano cura della manutenzione di una semplice aiuola nelle nostre città, e volgendosi indietro, ad esempio, nelle due edizioni 1957 e 1958 della 500 Miglia di Monza ci furono 74 aziende che sponsorizzarono le gare ed indirettamente la nuova struttura; perché non poter pensare ad un pool di aziende che si prendano cura del restauro e della manutenzione delle Sopraelevate di Monza ???
Ma passiamo ai fatti: nell’inverno del 1921 prese corpo all’interno dell’Automobile Club di Milano l’idea di costruire un Autodromo. Il senatore Enrico Crespi, allora Presidente dell’Ente, affidò l’incarico al Suo direttore Arturo Mercanti ed all’Ing. Piero Puricelli noto costruttore di Autostrade. Vennero localizzate tre posizioni tra le quali venne scelta quella di Monza, all’ interno del Parco.
Contrariamente a quanto pensano in molti, la pista d’alta velocità a Monza esiste fin dal 1922, anno di costruzione dell’intero Impianto.
Sia nel progetto originale che prevedeva una lunghezza del tracciato di ben 14 chilometri sia in quello successivo divenuto poi il definitivo di 10 chilometri, l’impianto era articolato su due piste: una stradale ed una di alta velocità che si intersecavano tra loro.
La pista stradale aveva una lunghezza di 5.500 metri ed una larghezza variabile tra i 7,5 e i 9,5 metri, mentre la pista di alta velocità, denominata allora “anello di alta velocità”, era costituita da due rettifili di 1070 metri l’uno con due curve semicircolari sopraelevate, una Nord ed una Sud, che si raccordavano per una lunghezza totale di 4.500 metri ed una larghezza di 12 metri; una vettura in gara percorreva prima la stradale e nel giro successivo l’alta velocità per un totale di 10 chilometri e l’esordio vide la vittoria di Achille Varzi su Alfa Romeo alla media di 187,786 km/h superando in gara la soglia dei 200 km/h (velocità mai raggiunta su un circuito Europeo).
Le due curve dell’alta velocità erano sopraelevate su un terrapieno dell’altezza di 2,60 metri e raggiungevano una inclinazione massima di 21° gradi sul piano orizzontale, permettendo alle vetture una velocità di circa 180/190 Km/h. (In verità il progetto originale prevedeva la possibilità di poter sviluppare velocità vicine ai 300 Km/h ma la Sovraintendenza ai Monumenti del tempo ridusse l’elevazione del terrapieno, limitando di conseguenza sia l’inclinazione che la velocità massima).
Nel 1938 l’Automobile Club di Milano varò un radicale programma di rinnovamento che comprendeva anche la modifica della pista affidando l’incarico all’Ingegner Aldo Di Rienzo del Comune di Milano.
Le due curve a Sud, pressochè identiche tra loro, vennero pavimentate con dei cubetti di porfido che contribuirono a crearne la leggenda. A seguito di queste modifiche il vecchio “anello di alta velocità” scomparve così dalla geografia dell’Autodromo e l’area occupata dall’Impianto si ridusse dagli originali 340 ettari a circa 145.
A causa della seconda guerra mondiale l’Autodromo rimase totalmente inattivo dal 1940 al 1947 ed alla fine del conflitto era irriconoscibile con gran parte delle sue strutture danneggiate e/o distrutte; nel 1947 gli Alleati, per celebrare la Vittoria, pensarono bene di organizzare una sfilata di mezzi corazzati in pista danneggiandola completamente.
Nuovamente l’Automobile Club di Milano mise mano alla ricostruzione dell’impianto sensibilizzando i Comuni e gli altri Enti interessati, riuscendo in breve ad iniziare i lavori di ripristino; il 5 ottobre 1948 Consalvo Sanesi, pilota collaudatore dell’Alfa Romeo, percorse alcuni giri sul ripristinato tracciato con una vettura della Casa del Biscione.
Nel marzo del 1955 l’Ingegner Giuseppe Bacciagaluppi, allora Direttore dell’Impianto, iniziò la costruzione della nuova pista di alta velocità, su progetto degli Ingegneri Antonino Berti e Aldo Di Rienzo, che svolse anche la funzione di Direttore dei Lavori nella fase di costruzione.
“catino dell’alta velocità” e venne completata alla fine di agosto dello stesso anno..
Rispetto al 1922, ben diversi furono gli stimoli che avevano suggerito la Sua costruzione, che questa seconda volta era stata motivata con la necessità di poter effettuare delle prove tecniche di alto valore e dei tentativi di record permettendo velocità medie elevatissime e condizioni di marcia uniformi; fermo restando che qualcuno nutriva la segreta speranza di uniformare la Formula 1 alle gare Americane creando un Regolamento unico che valesse sulle due sponde dell’Atlantico.
Il tracciato del 1955 ricalcava nel lato Nord quello del 1922, mentre a Sud risultava arretrato per consentire il passaggio del pubblico e dei veicoli provenienti dall’ingresso di viale Mirabello; conseguenza di ciò la nuova pista d’alta velocità era lunga 4250 metri con dei rettifili di 875 metri cadauno, più corta quindi di quella del 1922.
Le piste sia quella del 1922 sia quella del 1955 potevano essere utilizzate sia separatamente che in combinazione tra loro.
E’ necessario soffermarsi brevemente sulle caratteristiche tecniche dei tracciati che erano all’avanguardia per quei tempi; la differenza sostanziale rispetto all’alta velocità del ’22 era che le curve sopraelevate di quella del 1955 non erano su terrapieno ma bensì su piloni e travi in cemento armato con una pendenza massima dell’80 % ed un “guard-rail” in acciaio ancorato a dei pali quadrati in legno di noce annegati nel cemento armato.
Da sottolineare che questo nuovo profilo di “guard-rail” proveniva in anteprima dall’America e venne così testato in Italia a Monza per poi passare, nel tempo, su tutte le nostre autostrade.
La società di gestione dell’Autodromo, la Sias, aveva contribuito ancora una volta a provare e migliorare un manufatto, nuovo per l’Italia, che avrebbe contribuito a salvare molte e molte vite umane rendendo la normale circolazione autostradale più sicura.
Non possiamo dimenticare che nel suo complesso la costruzione delle Sopraelevate di Monza fu nel 1955 un’opera ingegneristica di grande valore e molto ardita per i tempi usando manodopera specializzata e mezzi di non comune uso nell’arte edile del tempo. Per la costruzione delle due curve vennero realizzate in legno, delle casserature provvisorie di sostegno posate su una serie di travature, sulle stesse vennero posate da tre grandi gru (posizionate due a Nord e una a Sud) le armature d’acciaio nelle quali veniva versato a mezzo di carriole un calcestruzzo “additivato” per rendere il manto stradale più omogeneo ed impermeabile; fatto ciò il manto stradale veniva rifinito completamente a mano !!!
Se solamente ci si sofferma sulla comparazione dei sistemi moderni di costruzione con le betoniere che impastano e scaricano il prodotto finito ovunque con quelli del 1955 che impastavano a mano in loco e sempre a mano trasportavano il calcestruzzo pur essendo impegnati centinaia d’operai, si comprendono i sei mesi necessari alla costruzione. Da sottolineare che le giornate lavorative erano di 16 ore con turni anche notturni e con grande partecipazione della popolazione Monzese che portava generi alimentari agli operai che lavoravano alla ciclopica costruzione.
Il motivo di questi massacranti turni era squisitamente tecnico poichè i “getti” di cemento armato dovevano essere “in continuazione” per ottenere la miglior omogeneità dell’impasto.
Sempre nell’estate del 1955 vennero ampliate le strutture dell’Autodromo: ai lati della tribuna d’onore si costruirono due grandi torri di segnalazione alte 16 metri e protese a sbalzo sulla pista con due pannelli luminosi di 30 mq. sui quali venivano date le informazioni salienti della gara, i giri, la posizione e la media della vettura di testa con i relativi distacchi della 2° e della 3°: il tutto con l’accensione di 900 lampadine azionate da un operatore; nella zona retrostante i box nacque il Villaggio dedicato ai servizi per il pubblico come ristoranti ed altro; ai margini del Villaggio sorse una stazione di servizio per carburanti Shell Italiana. Il 4 settembre 1955 il nuovo circuito stradale venne inaugurato con una manifestazione dedicata al Motociclismo, il 33° Gran Premio delle Nazioni, che vide protagonisti piloti italiani del calibro di Carlo Ubbiali e Umberto Masetti; la domenica successiva, l’11 settembre venne il turno dell’Automobilismo con il Gran Premio d’Italia che vide vincitore Juan Manuel Fangio con la Mercedes W196 carenata, alla media di 206,791 km/h.
Dopo il Gran Premio d’Italia del 1956 i piloti che partecipavano al Campionato del Mondo annunciarono che non avrebbero più corso sull’alta velocità perché a causa di avvallamenti longitudinali di più lastre, in concomitanza con i sottopassi, le sospensioni delle vetture ed i componenti dello sterzo erano oltremodo sollecitati causando numerosissimi guasti meccanici con conseguente ritiro della vettura dalla gara.
Nonostante ciò doveva ancora arrivare il momento di maggior splendore dell’anello di alta velocità; sarebbe avvenuto nel 1957 e 1958 con la 500 Miglia di Monza per vetture formula Usac abbinata alla 500 Miglia di Indianapolis che avrebbe messo a confronto due scuole di pensiero quella Americana e quella Europea, comparando così piloti e macchine. Prima di passare alla 500 Miglia di Monza ritengo necessario dedicare due parole alla 500 Miglia di Indianapolis per aiutare il lettore a conoscere da quale realtà uscivano i piloti e le macchine americane che avrebbero poi disputato la gara monzese. La grande leggenda di Indy era nata nel 1911 con un tracciato della lunghezza di 4.023,28 metri e con una pendenza massima in curva del 17 %; già nella prima edizione ci fu la presenza degli Europei poiché la Fiat portò delle vetture classificandosi terza assoluta e seconda nell’edizione successiva del 1912; solamente nel 1939 la Maserati riuscirà (guidata però dall’Americano Wilbur Shaw) ad aggiudicarsi la gara con una vettura sovralimentata di 3 litri gommata Firestone e sviluppante 360 HP, alimentata ad alcool che si ripeterà nel 1940; nel 1941 per poco non trionfava per la terza volta: ci fu però un’improvvisa uscita di strada…
Questo per ciò che riguarda le Case Automobilistiche Europee mentre per un pilota Europeo bisogna aspettare il 1951 con la vittoria dell’italo-americano Raffaele De Palma su Mercedes seguito l’anno successivo da Dario Resta su Peugeot.
Nei decenni seguenti vari furono i tentativi di piloti e vetture italiani per aggiudicarsi la vittoria ma quasi tutti si scontrarono con la superiorità degli Americani ma soprattutto delle loro vetture in questo particolare tipo di competizione.
Ben presto le Case Automobilistiche Europee compresero l’importanza che una loro vittoria avrebbe riversato sia sul blasone della Casa stessa sia sui risultati commerciali nella vendita del prodotto stradale; in tal senso tutti si prodigarono al di qua e al di là dell’Oceano perché venisse uniformato il regolamento delle Manifestazioni Internazionali, possibilmente con campi di gara, ossia Autodromi, “equivalenti”.
Anche la parte tecnica delle vetture avrebbe dovuto essere equiparata poiché le vetture americane, nel 1955, erano dotate quasi tutte del medesimo motore Meyer-Drake con un cambio a sole due marce, avevano delle sospensioni molto grosse e dei pesi studiati solo per curve a sinistra, a Indy percorrevano il tracciato per ben 200 volte ad una velocita mai inferiore alle 136 miglia orarie.
Negli anni anche la loro cilindrata si era modificata passando dagli iniziali 7.332 centimetri cubici del 1911 ai 4.182 del 1957.
Ma soprattutto era la realtà Americana delle corse, come sempre maxi, che condizionava: non va dimenticato che nel 1956 nelle gare disputatesi in America si ebbero ben 10 milioni di spettatori paganti, Indianapolis incassava oltre un miliardo di lire del 1950 e accoglieva per la manifestazione duecentomila spettatori tutti seduti nelle tribune e oltre diecimila vetture parcheggiate al Suo interno !!!
Si era giunti a questo grande risultato attraverso l’Automobile Club di Milano e la Sias che avevano organizzato l’evento in collaborazione con la United States Auto Club e l’Indianapolis Speeedway Corporation; la gara, ad inviti, era articolata su tre serie e/o manches.
La Manifestazione avrebbe assegnato il “Trofeo dei due Mondi” offerto dalla Città di Monza e affidato dall’allora Sindaco Casiraghi al pilota Gigi Villoresi per la consegna al Conduttore che avesse conseguito il maggior punteggio nella classifica combinata delle due gare a Indianapolis e a Monza.
Da ricordare che gli organizzatori milanesi presero i primi contatti con gli organizzatori Americani all’inizio del 1956 e gli accordi vennero perfezionati nell’ottobre successivo a Parigi sotto l’egida della F.I.A. e con la decisione della data ufficiale della prima edizione: 29 giugno 1957.
Obiettivi primari degli Ideatori ed Organizzatori di questa Gara erano quelli di allacciare un rapporto di collaborazione continua col variegato mondo delle corse del Nord America, creare una comparazione tra le differenti scuole ed infine allargare l’utenza Nazionale che frequentava gli Autodromi.