Un campione per “Amico”
“Questa è la storia di uno di noi…” recita l’incipit di una celebre canzone: in effetti, quella di Michele Alboreto è proprio questo: la storia straordinaria di un ragazzo che come tanti altri seguiva le corse
dietro le reti metalliche dell’Autodromo di Monza e in pochi anni divenne l’ultimo pilota italiano a
vincere un Gran Premio al volante della Ferrari.
Nè ricco, nè figlio di papà, non apparteneva alla generazione dei “kartisti”.
Nato a Milano il 23 Dicembre 1956, debutta nel mondo delle corse nel 1976 al volante di una
“Formula Monza” della Scuderia Salvati. Affamato di vittoria, animato da una “rabbia giovane”, dimostrò
da subito di essere un autentico pilota d’attacco come il suo idolo, il grande Ronnie Peterson dal
quale prese i colori blu e giallo del suo casco.
Due anni dopo in “Formula Italia” con la vittoria a Magione gli si spalancarono le porte della F3 dove a
fine anni Settanta non si scherza. Vicecampione già il primo anno, si impone nel 1980 quando è anche
ingaggiato dalla Lancia per il campionato endurance assieme ai già famosi Patrese, Cheever e Rohrl.Nel 1981 non mancheranno le soddisfazioni su più fronti: passato in F2 con Minardi si impone a Misano contro le March e Spirit ufficiali, nell’unico trionfo nella storia della scuderia faentina. Oltre a nuove vittorie con la Lancia LMP1,, grazie alla “mediazione” di alcuni amici ,arriva soprattutto la chiamata di Ken Tyrrell.
Il grande talent scout del Circus gli offre un sedile per il GP di San Marino. L’occasione è ben sfruttata, tanto che l’apprendistato in F1 continua per il resto del campionato e l’anno seguente, ancora con le vetture del “Boscaiolo”, arriva l’esplosione con l’incredibile vittoria a Las Vegas nell’ultima gara della stagione.
Enzo Ferrari mette da parte la proverbiale esterofilia e comincia a tenerlo d’occhio. Nel 1983 regala ancora a Tyrrell e al glorioso Ford Cosworth l’ultima vittoria della loro storia sul circuito cittadino di Detroit: è ormai uno tra i migliori piloti al mondo.
A fine stagione sul piatto c’è un’offerta McLaren, ma quando nell’Ottobre di quell’anno giunge proprio la
chiamata del Drake, Michele non esita: dal 1984 sarà un pilota Ferrari a fianco di Renè Arnoux.
Un italiano mancava sulla Rossa da undici anni, dai tempi lontani di Arturo Merzario. Come tre anni prima
con quella gara a Imola anche stavolta Alboreto coglie l’opportunità, dichiarando che “correre per il Cavallino Rampante è l’occasione per capire se si potrà mai diventare un campione o rimanere solo buoni piloti”.
Quell’anno per lui ci fu un altro importante matrimonio, quello con Nadia, l’amore di sempre, sbocciato ai
tempi della gioventù di periferia a Rozzano, luogo di cui non si dimenticò mai, restando sempre legato agli amici d’infanzia.
Sono anni difficili in Ferrari durante i quali Alboreto matura, diventa grande professionista consapevole
dei proprio mezzi ,capace con le sue indicazioni e caparbietà di compattare una squadra spesso dilaniata
da micidiali lotte intestine, scoprendo presto come sia più difficile imparare a perdere che a vincere.
Nel 1984 le McLaren di Lauda e Prost sono superiori ma a Zolder per Michele arriva la prima storica vittoria in rosso e ai tifosi “di casa” regala poi un bel secondo posto a Monza. L’attesa è per l’anno seguente e con la nuova 156/85 la Ferrari a inizio stagione vola.
Dopo ottimi piazzamenti Alboreto vince in Canada ma il trionfo più bello è al Nurburgring, dove balza in testa al Mondiale e le ambizioni iridate si fanno concrete. Una serie incredibile di guasti e rotture consegneranno però a Prost e (ancora) alla McLaren il titolo, llasciandogli la piazza d’onore e tanto amaro in bocca.
E’ l’occasione mancata: un Campione del Mondo italiano manca dai tempi eroici di un altro milanese
fonte di impegnativi paragoni: Alberto Ascari.
Dopo un 1986 deludente la Ferrari inaugura un nuovo corso tecnico a Guildford in Inghilterra con John
Barnard e per Michele iniziano tempi difficili. mentre il nuovo compagno, l’austriaco Gerhard Berger, nel
1987 vince in Giappone ed Australia.
Nel 1988 la McLaren domina tutte le gare tranne una: Monza. E’ trascorso solo un mese dalla morte di Enzo Ferrari e le Rosse sul circuito brianzolo mettono a segno una rocambolesca doppietta densa di commozione e significato.
Alboreto è secondo e sul podio, in un tripudio di bandiere rosse di fatto si congeda anche dal Cavallino
Rampante.
Poco prima di morire il Commendatore l’aveva convocato a Maranello. L’anno seguente era in arrivo Mansell ma Lui, il grande Capo, aveva ancora l’ultima parola e se Michele avesse voluto, il rinnovo del contratto sarebbe stato possibile.
Ringraziò di tanta fiducia, preferendo andarsene.
Sfumata per il 1989 la Williams, Alboreto ricomincia da dove tutto ebbe inizio: la blu Tyrrell 017 con cui, senza sponsor e mezzi limitatissimi coglie un incredibile terzo posto in Messico, il suo ultimo podio nel Circus.
A metà stagione problemi contrattuali portano alla rottura con il team.
Passa allora alla modesta Larrousse (costretto a lottare nelle terribili pre-qualifiche), in seguito alla Footwork (con qualche buon risultato nel 1992) e alla Scuderia Italia (un’annata disastrosa). Nel 1994 ritrova l’amico Minardi e nel dramma di Imola capisce che la morte di Senna avrebbe cambiato radicalmente l’ambiente.
A Montecarlo arriva con uno splendido sesto posto, l’ultimo punto di una lunga e brillante carriera in
Formula Uno. Dopo 215 Gran Premi e 5 vittorie invece di ritirarsi per lui comincia una nuova vita.
La scelta per continuare una carriera lungi dal viale del tramonto è per le ruote coperte e ripaga: nel 1997
la collaborazione con il team Joest porterà con la Porsche il successo alla 24h di LeMans. Quando due
anni dopo il team entra nell’orbita Audi per Michele inizia la caccia al bis alla corsa francese. E’ così anche
per il 2001 che parte sotto i migliori auspici: insieme a Capello e Aiello sulla R8 vince la 12H di Sebring.
Dieci anni fa il 25 Aprile fa cadeva di mercoledì.
All’Audi Sport, sul circuito del Lausitzring fremeva il lavoro: la 24h di Le Mans incombe e bisogna testare,
verifcare, configurare quanto poi da utlizzare in terra di Francia. Durante il test un pneumatico della vettura di Alboreto si affloscia a 300 km/h, facendola librare in un volo fatale per poi ribaltarsi. Un tempo già paragonato al leggendario Ascari, anche Michele ci lascia lontano dai riflettori, durante un collaudo. A soli 44 anni con un passato glorioso alle spalle, un presente di corse importanti e un futuro che sarebbe stato di sicura guida morale e non solo dell’automobilismo di casa nostra.
Di Michele Alboreto oggi è vivo e forte l’insegnamento.
Parlava con Piero Ferrari e Gino Macaluso del futuro del motorismo italiano, della mancanza di una categoria propedeutica in grado di operare il “setaccio”, quella selezione naturale e spietata che un tempo portò proprio lui in Ferrari. La Formula Fiat Abarth di oggi è figlia sua e sul musetto della vettura è riprodotto il suo casco. Siamo certi che una volta ritiratosi non avrebbe mai abbandonato il “suo” mondo.
Era nato per correre, non vi era per caso in questo sport di cui sapeva tutto. Forse è per questo che col
suo sorriso ci sembra ancora tra noi: siamo certi che lassù ha portato anche la sua tessera della nostra
Associazione.
Un campione, un Amico. Grazie, Michele.